Alcune
delle più belle melodie italiane di sempre cantate dalla miglior cantante
italiana di sempre. Ci perdonerete l’immodestia, ma la miglior definizione di
“Napoli secondo estratto” è proprio questa. E anche chi non ama particolarmente
le canzoni napoletane, anche chi non colleziona i dischi di Mina, converrà
che questo disco è così importante e significativo che ogni sincero
amante della grande musica dovrebbe possederlo... “a prescindere”, direbbe il
Principe De Curtis. Diciamo del titolo, innanzitutto: “Napoli secondo estratto”,
con il suo trasparente, divertito e “smorfioso” ammiccamento alle estrazioni del
Lotto - cerimonia che nel capoluogo campano ha da sempre un che di sacralmente
pagano - rimanda a “Napoli”, il disco che Mina ha pubblicato nel 1996, nel quale
rileggeva dieci episodi del repertorio classico e moderno della canzone partenopea.
Come “Napoli”, anche “Napoli secondo estratto” è un “live in studio”; e
se già in “Napoli” la versione dal vivo del quintetto era composta ed elegante,
“Napoli secondo estratto” scarnifica ulteriormente la veste sonora, riconducendola
al quartetto jazz (Danilo Rea, tastiere e pianoforte; Alfredo Golino, batteria
e percussioni; Andrea Braido, chitarra acustica ed elettrica; Massimo Moriconi,
basso e contrabbasso; più Gabriele Mirabassi, clarinetto) che dà
una lettura essenziale e pulitissima degli spartiti, arricchita dagli archi e
dall’orchestra magistralmente arrangiati e diretti da Gianni Ferrio. Quel che
ne risulta è un disco senza tempo, in cui né l’interpretazione vocale
né l’esecuzione strumentale sono riconducibili a un “modo” o a una moda;
tanto che ascoltandolo non è possibile datarlo, così come non sarà
possibile datarlo a chi lo ascolterà fra vent’anni. E non soltanto perché
la voce di Mina è splendidamente intatta e limpida, ma anche perché
il suo canto è del tutto esente da vezzi e languori, da sottolineature
e da melismi, così che sfugge al folklorismo mandolinistico (e qui di mandolino
ce n’e’ uno solo, quello composto e per nulla “turistico di Giorgio Secco che
colora “Maria Marì”, nell’ideazione sonora di Alba Arnova), così
che non scivola mai in quel tanto spesso così irritante macchiettismo,
in quella tanto spesso così indisponente inflessione parodistica, che purtroppo
sono il limite e la colpa di molti fra quanti hanno esplorato il repertorio della
‘nobile’ canzone napoletana. Mina tratta quel repertorio non come una raccolta
di pagine di canzoni in dialetto (o meglio in lingua napoletana), ma come un grande
canzoniere di ballad classiche, che hanno superato e trasceso il tempo della loro
composizione e i riferimenti all’attualità storica o cronachistica. Come
gli americani hanno George Gershwin e Cole Porter, noi italiani abbiamo la canzone
napoletana: un patrimonio straordinario per quantità e qualità che
qui viene rivisitato con rispetto, senza tradire l’emozione forte che ne è
la cifra caratterizzante, ma trasfigurandola dal melodramma, salvandola dall’oleografia,
liberandola degli eccessi da sceneggiata; e rendendo così quelle canzoni
assolutamente, indiscutibilmente “classiche”. E se questo vale, naturalmente,
per gli episodi più antichi (primo fra tutti “Te voglio bene assaje”, la
cui composizione è datata 1835, ma anche per “Era de maggio”, che è
stata scritta nel 1885, o per “‘O sole mio”, che è del 1898), vale nella
direzione inversa per i brani più recenti, come “Napule è”, pubblicata
nel 1977, e per “‘O cielo ce manna ‘sti ccose”, che è stata composta nel
1964: brani che in questa rilettura conquistano lo status di classici, diventando
pressoché indistinguibili da canzoni risalenti allo scorso o addirittura
all’altro secolo. Un piccolo discorso speciale meritano i due titoli che chiudono
l’album. Il primo, “Cu ‘e mmane” (da qualche giorno affidato alla programmazione
radiofonica), è una canzone del tutto inedita, scritta dai napoletani Gianni
Donzelli e Vincenzo Leomporro (gli Audio 2), che Mina ha voluto inserire in questo
disco conferendole così la dignità di “nuovo classico”. Il secondo
è “‘O cuntrario ‘e l’ammore”: una rielaborazione di una pagina di musica
da camera di Giacomo Puccini (un quartetto d’archi scritto ed eseguito per la
prima volta nel 1890) per il quale Mina ha chiesto a Gianni Ferrio una rielaborazione
e a Maurizio Morante - frequente collaboratore di Mina, anch’egli napoletano verace
- un testo ad hoc. A proposito dei testi: anche i puristi più accaniti
hanno sempre riconosciuto a Mina di essere una delle pochissime voci non napoletane
a saper pronunciare impeccabilmente la lingua partenopea (che lei, lombarda, ama
moltissimo). Questo un po’ perché Mina è così naturalmente
‘musicale’ da riuscire con efficace disinvoltura ad esprimersi in lingue diverse
dall’italiano (come dimostrano numerosissimi episodi della sua discografia), un
po’ perché anche in questa occasione non ha trascurato una preparazione
severa confortata da esperte consulenze filologico- lessicali. Ecco dunque
“Napoli secondo estratto”: una copertina che esprime un sorridente e amabile omaggio
alla napoletanità, con Titina de Filippo, Tina Pica e Totò (in vesti
femminili) in un palco a teatro, tre icone così intangibili che Mina non
ha voluto comparire nella scena, ma vi si è ritagliata una piccola apparizione
spiandola da dietro una tenda - racchiude un disco dedicato, col cuore, a un patrimonio
musicale di altissimo valore, e alla città e alla gente che l’hanno ispirato
ed espresso. www.sonymusic.it
QUESTE
LE CANZONI: 1.
TU CA NUN CHIAGNE!
(testo) Libero Bovio / Ernesto De Curtis
Composto
nel 1915 da Libero Bovio (1883-1942) e da Ernesto De Curtis (1875-1937), questo
brano divenne famoso grazie all’incisione che ne fece nel 1919 Enrico Caruso,
capace di valorizzarne tutta la straordinaria tessitura melodica Nel 1975 la
canzone fu riproposta, in una versione personalizzata, dal gruppo vocale e strumentale
“Il Giardino dei Semplici”, e si affermò come il loro più grande
successo di vendita. 2.
‘O CIELO CE MANNA ‘STI CCOSE (testo) Fred Bongusto
/ Armando Trovajoli Si
tratta di un brano della tradizione napoletana contemporanea. Infatti fu composto
nel 1964, per i titoli di coda di “Matrimonio all’italiana” di Vittorio De Sica
con Sophia Loren e Marcello Mastroianni, il film che riprendeva la commedia “Filumena
Marturano” di Eduardo De Filippo. Molto suggestiva è l’interpretazione
del co-autore Fred Bongusto (1965). 3.
TE VOGLIO BENE ASSAJE (testo) Raffaele Sacco /
A. Longo È
una canzone che ha fatto epoca, una pietra miliare della storia della canzone
napoletana. Da più parti si ritiene che essa abbia segnato la nascita della
vera canzone napoletana, la canzone d’arte, per la quale si cominciarono a stampare
i testi su foglietti, che venivano distribuiti da venditori ambulanti (quasi sempre
gli stessi editori), le cosiddette copielle. Se ne vendettero più di 180.000;
il successo della canzone fu travolgente e se ne ebbero infinite imitazioni e
parodie. Veniva cantata e fischiata in ogni angolo, in ogni via, diventando, per
alcuni, una vera e propria ossessione, tanto che le cronache dell’epoca riportarono
di qualche napoletano che, per timore di impazzire, fu costretto a lasciare la
città. Anche la Chiesa si interessò al fenomeno legato al successo
di questa canzone, tanto che un prelato, il cardinale Riario Sforza, rimproverò,
in verità in modo bonario, il paroliere Sacco per il contenuto di amore
profano dei versi. Intorno a questa canzone sorsero numerose controversie,
sia per la data della sua nascita che per la paternità delle musiche. La
tradizione attribuisce la musica al celebre operista bergamasco Gaetano Donizetti,
intenso estimatore e autore egli stesso di canzoni napoletane come: “La conocchia”,
“Lu tradimento”, “Canzone marinara”. Tale attribuzione fu forse dovuta al fatto
che in quel periodo la canzone napoletana raggiunse, per quantità, ma soprattutto
per qualità, livelli artistici inimmaginabili, coinvolgendo nella ricerca
musicale autori colti come Bellini, lo stesso Donizetti e altri. È però
accertato che a musicarla fu Filippo Campanella, amico e compagno di sempre del
paroliere, l’ottico Raffaele Sacco. Oggi è nota nella trascrizione che
ne fece A. Longo. Raffaele Sacco (1787-1872) compose la canzone nel 1835 cantandola
per scherzo ad una festa tra amici. La leggenda vuole che la melodia di Campanella
ed i versi del Sacco furono cantati dal popolo la sera stessa che l’avevano ascoltata
in quella festa tra amici. La canzone portò grande fama a Sacco, ma
pochi soldi. Rimase un ottico nella sua bottega, la stessa che oggi i suoi eredi
gesticono nello stesso posto. “Te voglio bene assaje” venne presentata il 7
settembre del 1839 in occasione della festa della Natività di Maria Vergine,
la festa di Piedigrotta. In questa canzone si parla dello stato in cui è
ridotto un innamorato per un amore non corrisposto o forse per una relazione irrimediabilmente
e tristemente conclusa. Il grande successo, che la rese così popolare
può far pensare, però, a un testo dal contenuto tutt’altro che così
triste e melanconico. Ma a Napoli si ironizza anche sulle proprie disgrazie! Ad
ogni buon conto, il brano, lasciatoci dal suo autore con testo scritto e firmato
con nome e cognome, rappresenta l’atto di nascita della canzone italiana d’autore. 4.
CARMELA (testo) Salvatore Palomba / Sergio Bruni “Carmela”
è uno dei brani più noti di Sergio Bruni, un’altra grande voce della
canzone napoletana che ci ha lasciati nel giugno di quest’anno, a quasi 82 anni. All’inizio
degli anni ‘70 Sergio Bruni aveva già scritto la musica di canzoni di grande
successo, fra cui “Palcoscenico” su versi di Enzo Bonagura (1956) e “Na bruna”
con Langella e Visco (1971), ma giunto al massimo della sua parabola artistica
come cantante, comincia a porsi il problema della continuazione della canzone
napoletana. Viene stimolato - come amava spesso raccontare - da un articolo
apparso su “Il Mattino” nel quale un noto esponente della cultura napoletana dichiara
in un’intervista che secondo lui la canzone napoletana è morta. Tuttavia,
ad alcuni amici che lo invitano ad esprimere il suo disaccordo attraverso il giornale,
Sergio Bruni risponde orgogliosamente che risponderà con la musica. Decisivo,
nel 1975, è l’incontro con il poeta Salvatore Palomba. Comincia a musicarne
alcune poesie dal libro “Parole overe”, fra cui “Carmela” che diventerà
un classico della canzone napoletana. Un anno dopo viene pubblicato l’album
“Levate ‘a maschera Pulicenella” con otto canzoni (tra cui “Carmela”) su versi
di Palomba e musiche sue, ispirato alla Napoli attuale. 5.
NAPULE È (testo) Pino Daniele Il
noto brano di Pino Daniele fa parte del primo album pubblicato dal cantante, e
cioè “Terra mia” del 1977. Si tratta di una bellissima canzone melodica,
di notevole qualità tecnica sia musicale che vocale, tale da essere paragonate
molto spesso ai più grandi classici napoletani dell’800 e d’inizio secolo.
“Napule è” nasce come canzone di ammirazione nei confronti di Napoli, ma
al tempo stesso di forte denuncia; l’uso di mandolini e al tempo stesso di chitarre
elettriche, la forza di una voce calda e molto ricercata, la presenza di un testo
bellissimo interamente in dialetto ha reso la canzone una delle più riprodotte
e più ricordate. Pino Daniele ha sempre riproposto “Napule è”
nei suoi concerti live. Anche nella serie di concerti dell’estate 2002, con De
Gregori, Ron e la Mannoia, questo brano veniva rieseguito in coppia con De Gregori. 6.
MARIA MARI’! ... (testo) Vincenzo Russo / Eduardo
Di Capua Questo
brano rappresenta uno dei più classici esempi della serenata napoletana. Fu
scritto nel 1899 da Vincenzo Russo (18976-1904) e Eduardo Di Capua (1875-1917) Sempre
suonata di sera sotto il balcone della fanciulla amata, la serenata ha espresso
i più comuni trasporti d’amore, compreso il dispetto. Prevalentemente sentimentale,
il ritmo della serenata è basato sul tempo 3/4 o 2/4, e qualche volta,
per soggetti più allegri è stato usato il tempo tagliato. Le
serenate erano in gran voga a Napoli sin dai primi anni del ‘200, ed erano tanto
frequenti da generare fastidio. Nel 1221, infatti, l’imperatore Federico II, per
le tante istanze pervenutegli dai napoletani che protestavano contro i cantori
che al tramonto turbavano il loro sonno con canzoni d’amore, con un apposito bando,
vietò l’esecuzione delle serenate. Giuseppe Godono può considerarsi
il cantante preferito dai poeti d’inizio ‘900 per affidargli le proprie serenate.
L’interprete, infatti, vanta nel suo repertorio, numerose serenate di grande notorietà:
“Serenata a Pusilleco”, “Serenata a Surriento”, “Serenata napulitana”, “Serenata
sincera”, “Voce ‘e notte”, “Nun t’affaccià”, e, appunto, “Maria Marì!”. 7.‘O
SOLE MIO (testo) Giovanni. Capurro / Eduardo Di Capua È
certamente la canzone più nota di tutto il reportorio napoletano. Ma
è interessante seguire la storia di “’O sole mio”. La canzone ha 105 anni,
essendo stata pubblicata nel 1898 dalla casa editrice Bideri di Napoli, che l’aveva
acquistata per 25 lire dai suoi autori: il musicista Eduardo Di Capua (1865-1917)
e il poeta Giovanni Capurro (1859-1920). Uno degli argomenti ricorrenti di
certa stampa a caccia di polemiche è l’inno nazionale. Secondo alcuni il
vero inno nazionale potrebbe essere proprio “’O sole mio”: la sua semplice e bella
melodia rispetta tutti i canoni della tradizione musicale e, se non altro, è
il nostro motivo più conosciuto nel mondo. Pochi sanno tuttavia che questo
motivo, entrato nel DNA di tutti gli italiani, fu composto in Ucraina. Il suo
autore, il napoletano Eduardo Di Capua, fresco di studi di conservatorio, aveva
già composto melodie destinate a diventare dei classici (“Maria Marì”,
“I’ te vurria vasa’”, “Torna maggio”); negli ultimi anni dell’800 era all’estero
con suo padre Giacobbe, violinista in una piccola orchestra. Una mattina, durante
una sosta ad Odessa, dai vetri della finestra dell’albergo il giovane musicista
è colpito dalla luce del sole sul Mar Nero. In un impeto forse di nostalgia,
compone le note centrali di questa canzone, sui versi che gli aveva consegnato
il poeta Giovanni Capurro a Napoli prima della sua partenza. Una volta tornato
a Napoli, Di Capua rifinisce il brano con l’aiuto di un suo giovane collega, Alfredo
Mazzucchi, e consegna la composizione all’editore Bideri ritirando il compenso
forfettario che le case musicali destinavano allora agli autori in cambio dell’utilizzo
incondizionato del brano (siamo nel 1898 e solo qualche anno più tardi
verranno riconosciuti i diritti d’autore). A settembre, “O sole mio” viene
presentata al concorso musicale “Tavola Rotonda” con i nomi di Capurro e Di Capua
e, come seconda classificata (anche se sullo spartito fu poi scritto “prima classificata”)
ottiene un premio in denaro. Questo sarà l’unico compenso percepito in
vita dai due autori, mentre sarà enorme il successo della Bideri. Di Capua
rimane vedovo a 31 anni con due figli; per sopravvivere, farà il pianista
nelle sale di cinematografo accompagnando dal vivo la proiezione dei primi film
muti, e sembra che alla sua morte, avvenuta nel 1917, il suo pianoforte sia stato
venduto per pagare i debiti lasciati insoluti. Altrettanta sfortuna arriderà
a Capurro, che morirà tre anni più tardi in condizioni di indigenza
senza la soddisfazione di veder riconosciute le sue doti poetiche. Le royalties,
che ancor oggi fruttano circa 150 mila euro all’anno, grazie alle nuove leggi
sul diritto d’autore furono riconosciute dopo molti anni anche agli eredi di Capurro
e di Di Capua, ma solo nel 2002 una clamorosa sentenza del Tribunale di Torino
ha stabilito che i diritti di “’O sole mio” spettano anche al terzo co-autore
Alfredo Mazzucchi, o meglio ai suoi eredi, visto che la causa da lui intentata
nel 1969 è durata più di trent’anni, andando ben oltre le sue aspettative
di vita (il musicista si spense novantaquattrenne nel 1972). Si conoscono numerosissime
versioni in tutti i generi musicali e in tutte le lingue: inutile cercare di enumerarle
tutte. Dai cantanti lirici ai jazzisti, dai depositari della tradizione melodica
agli interpreti del pop e del rock, tutti possono vantare “’O sole mio” nel proprio
repertorio. L’edizione che ha più venduto in termini di copie discografiche
(un milione di copie) è “It’s now or never” di Elvis Presley. Da notare
che il testo inglese, pur essendo già stato composto nel 1901 (“Beneath
thy window”), fu considerato troppo letterario e riscritto per l’occasione. “’O
sole mio” fece anche parte del repertorio di Josephine Baker e di Frank Sinatra.
E poi, non c’è tenore italiano, da Caruso a Gigli, a Pavarotti, che non
si sia misurato con le note di questa canzone. Di “’O sole mio” scrisse anche
Proust nella sua “Recherche”. 8.CANZONA
APPASSIUNATA (testo) E.A. Mario E.A.
Mario, il cui vero nome era Giovanni Gaeta, nacque a Napoli nel 1884 e morì
nel 1961. Giovanni Gaeta, che si dilettava di poesia, scelse lo pseudonimo di
E. (iniziale di Ermes come si firmava al giornale presso cui lavorava), A. (iniziale
di Alessandro, redattore capo del suo giornale) e Mario (nome di una scrittrice
polacca che dirigeva il giornale “Il Ventesimo”). Dopo alcune canzoni musicate
da altri, E.A. Mario decise di musicarle in proprio, nacquero così: “Maggio,
si’ tu”, “Funtana all’ombra” e “Io ‘na chitarra e ‘a luna”. Al grande pubblico
nazionale, E.A. Mario, regalò “La leggenda del Piave”. “Canzona appassiunata”
fu composta nel 1922 e divenne un cavallo di battaglia di Tullio Pane. 9.
ERA DE MAGGIO (testo) Salvatore Di Giacomo / Mario Costa Un
altro classico della musica napoletana. Fu composta nel 1885 da Salvatore Di
Giacomo (1860-1934) e Mario Costa (1858-1933) Nato a Napoli nel 1860, Salvatore
Di Giacomo comincia la sua carriera come giornalista, occupandosi della terza
pagina del “Corriere del mattino”, e dedicandosi con passione alla cronaca e alla
illustrazione della vita locale napoletana. Entrato a far parte dell’élite
intellettuale napoletana, è però proprio l’atmosfera popolare a
spingerlo a scrivere i versi dei suoi sonetti e delle sue prime canzoni: la prima
è “Nannì”, scritta nel 1881, che apre allo scrittore e poeta napoletano
una vera e propria carriera di “paroliere”; Benedetto Croce arriverà a
definirlo “il poeta delle più belle canzoni”. Scrittore anche di teatro,
nel 1929 gli viene riconosciuto il titolo di Accademico d’Italia per meriti culturali. Il
repertorio di Di Giacomo è fatto di vicende e immagini, tratte da vicoli,
carceri, tribunali, ospedali, fonte della sua produzione e in particolare del
suo realistico teatro, che Di Giacomo sottrasse la letteratura napoletana al riduttivo
bozzetto verista, importandovi l’anima più profonda di una città
che presto si identificò nella sua poesia: temi e valori in cui i lettori
si potevano riconoscere, come più tardi accadrà con Eduardo De Filippo.
Ciò sembra spiegare il vasto consenso di pubblico alle sue prime canzoni,
che in quegli anni validi artisti musicavano, quali Mario Costa per la petrarchesca
“Era de maggio”. Questo brano è stato recentemente reimperpretato da
Franco da Battiato nel suo album “Fleurs”. In precedenza era stato interpretato
anche da Teresa De Sio nell’LP “Toledo e Regina” (1986). 10.GUAPPARIA
(testo) Libero Bovio / Rodolfo Falvo Il
brano, che risale al 1914, è un altro classico della tradizione napoletana.
Recentemente è stato rivisitato da Massimo Ranieri. Amore e malavita
nella Napoli di inizio ‘900 sono gli ingredienti di questa canzone-serenata scritta
da Libero Bovio e Rodolfo Falvo, nomi storici della canzone napoletana. Bovio
riesce a snodare una serie di particolari dei modi di vita tipica di certi vicoli
e quartieri, considerando il popolo tra il riscatto e l’accettazione della sua
condizione disagiata. Nel testo di “Guapparia” si coglie l’autentica poesia,
l’ispirazione popolare e nel contempo ricercata, la perfetta aderenza agli schemi
classici della canzone napoletana. Bovio è grande nella concezione ampia
delle sue opere, sommo nell’affidare alla musica squarci di vita vissuta, visioni
oniriche, desideri e sofferenze di un popolo. Il canto di malavita si inserisce
in un più ampio repertorio di canti di “carcere e mafia”, tipico dell’Italia
del Sud. 11.
I’ TE VURRIA VASA’! ... (testo) Vincenzo Russo / Eduardo Di Capua Il
brano fu composto nel 1900. Si tratta di uno dei testi più strazianti
ed emozionanti della canzone napoletana. 12.
CU ‘E MMANE (testo) Audio 2: G. Donzelli - V.
Leomporro Brano
inedito. 13.
‘O CUNTRARIO ‘E L’AMMORE (testo) (Rielaborazione
da “Crisantemi” di Giacomo Puccini) Maurizio. Morante / Gianni Ferrio È
una pagina brevissima e quasi sconosciuta di Giacomo Puccini (1858-1924). Il
suo catalogo di musica da camera annovera pochissimi lavori: uno Scherzo in la
minore, un Quartetto in re maggiore, alcune Fughe e tre Minuetti, sempre per la
formazione classica di quattro archi. Si tratta di una pagina garbata e commossa,
segnata da una mestizia espressa con un sentimento eseteriorizzante. Lo svolgimento
è in forma ternaria. Risalta una più controllata e raccolta sezione
centrale, che peraltro non contraddice il clima complessivo. “Crisantemi”
fu composto subito dopo la morte – il 18 gennaio 1890 – del quarantacinquenne
Amedeo di Savoia, secondo figlio, molto popolare, del re d’Italia Vittorio Emanuele
II, e venne eseguita per la prima volta già nella settimana seguente a
Milano – con un successo così grande che si dovette ripetere nel medesimo
concerto. Puccini evidentemente non aveva dato all’inizio grande importanza
a questo lavoro, che invece fu subito stampato da Ricordi, poiché nell’abbozzo
lo indica solo come “Breve improvviso”. Ma in seguito (forse anche grazie al rapido
successo ottenuto da queste composizioni) impiegò il materiale musicale
di “Crisantemi” nell’atto finale della sua “Manon Lescaut”, alla quale egli già
a quel tempo stava lavorando; questo ha fatto sopravvivere fino ad oggi “Crisantemi”
e la rende interessante come via d’accesso al laboratorio compositivo di Puccini. Archi
arrangiati e diretti da Gianni Ferrio 1°
Violino: Anthony Flint Violini: Andreas Laake – Klaidi Sahatci - Walter Zagato
– Barbara Ciannamea-Monte Rizzi – Yoko Paetsch – Susanne Holm – Piotr Nikiroff
– Alessandro Milani Viole: Ivan Vukcevic – Monica Benda – Ilaria Negrotti Violoncelli:
Johann Sebastian Paetsch – Jennifer Flint – Claude Hauri Contrabbasso: Shiho
Ferrari Corno: Georges Alvarez Flauto: Bruno Grossi Hanno
suonato: Pianoforte
organo e fender: Danilo Rea Batteria e percussioni: Alfredo Golino Basso
e contrabbasso: Massimo Moriconi Chitarra acustica e elettrica: Andrea Braido Clarinetto:
Gabriele Mirabassi Coro
bambini: Alessio Donzelli – Giuliana Di Girolamo – Pina Pollio – Benedetta Pollio
– Luca Ciervo – Alessandro Ciervo – Daniela Minopoli – Erika Infantocci – Veronica
Flocco “Maria
Marì!…”ideato e realizzato da Alba Arnova presso lo studio M.O.P.S. di
Roma. Mandolini: Giorgio Secco “Cu
‘e mmane” arrangiato da Massimiliano Pani e Nicolò Fragile Tastiere
e programmazione: Nicolò Fragile Chitarre: Giorgio Cocilovo Il
coro di bambini di “Napule è” è stato registrato nello studio di
Gianni Donzelli a Napoli Tecnico
di registrazione, missaggio e mastering Ignazio Morviducci Controllo mastering
eseguito presso Elettroformati da Ignazio Morviducci e Alessandro Cutolo. Prodotto
da Massimiliano Pani Un
grazie a Alba Arnova, Ugo Bongianni, Gianni Donzelli e ai bambini del coro Copyright
GSU 2003
Le tracce audio le puoi ascoltare su www.minamazzini.com |